E’ passata una settimana esatta da quell’ormai famoso 15 Ottobre: la Giornata dell’Indignazione mondiale promossa dai movimenti indignados spagnoli, ma trasformatisi, in Italia, nella guerra civile di Piazza San Giovanni, grazie alle barbarie di poco più di 200 coglioni che amano definirsi anarchici, rivoluzionari o black bloc.
Come ho accennato nell’ultimo post sul blog, insieme ai compagni di Sinistra per Somma e a quelli di Pollena, Sant’Anastasia e San Sebastiano, siamo stati a Roma quel giorno.
Posso garantire che ci sono state due manifestazioni il 15 Ottobre: una, pressoché riferita alla parte iniziale di quella giornata, meravigliosa e coinvolgente fatta di colori, simboli, allegria, protesta e spirito di pacifica rivolta. Un’altra, organizzata da una minoranza di teppisti e black block che hanno voluto togliere la scena della giornata ai veri indignati, è stata nauseante e vergognosa, fondata sul terrore e sulla dottrina dello sfascio.
Ma andiamo per ordine. La meravigliosa giornata di festa ha iniziato a farsi largo sin dal mattino, dall’entusiasmo che si respirava già nel pullman, in un clima di allegria e vitalità che non si respirava da molto tempo. L’armonia di persone (prima di tutto!) mescolate tra di loro, anche a prescindere dagli orientamenti politici, in una vera e propria Festa di libertà, solidarietà, indignazione, alternativa, giovane, vivace e numerosa!
Piazza della Repubblica si presentava, ai nostri occhi increduli, come una calderone rosso fiammante e in cui c’era il mondo intero! Le bandiere, sì, erano diverse tra loro, ma lo spirito, la volontà di cambiamento, era la stessa. Il numero delle persone era incalcolabile…semplicemente una folla oceanica, che poi si sarebbe numericamente trasformata in un numero compreso tra i 300.000 e i 500.000 partecipanti.
La gioia è durata fino alle tre del pomeriggio più o meno, quando iniziamo a scorgere i primi pennacchi di fumo nero e ci arrivano notizie che due macchine sono state date alle fiamme. I black bloc iniziavano a farsi vedere: le fiamme cominciano ad alzarsi, il fumo nero delle auto e dei motorini in fiamme comincia ad entrare nei palazzi, le vetrine dei negozi, degli uffici postali e delle banche vengono infrante; i concetti di lotta alla crisi economica, alla disoccupazione, al precariato vengono cancellati dalla loro insensata violenza. Duecento, forse trecento, alcuni molto giovani, 16enni, altri tra i 30 e i 50 anni. Vestono di nero, indossano caschi, passamontagna e imbracciano spranghe e bastoni. Non rappresentano nulla, sono desiderati da nessuno.
L’aria diventa sempre più pesante, la tensione e la paura sono palpabili, e la rabbia verso qualcosa di non voluto, quale è quella vera e propria guerriglia, aumenta a dismisura. I pompieri subito prestano il loro intervento per spegnere le fiamme, e contemporaneamente almeno 20 ragazzi trascinano cassoni della spazzatura provando ad erigere delle barricate e preparandosi alla guerra.
Ci rendiamo conto che la situazione lì non è sicura, e per questo ci allontaniamo. Gli scontri col passare dei minuti aumentano, e il clima festoso iniziale ormai è solo un ricordo.
Il corteo prosegue, e i black bloc intanto continuano a sfasciare tutto: a via Labicana diverse auto vengono ancora una volta date alle fiamme e vengono devastati gli uffici del Ministero della Difesa, dai quali crollerà anche il tetto. E’ qui che il corteo viene praticamente spezzato dall’arrivo delle forze dell’ordine, cercando di chiudere al centro i violenti. Per un’ora, all’incrocio con via Merulana, lo scontro è diretto. E non si sa se temere di più le pietre dei manifestanti o i lacrimogeni delle forze dell’ordine.
Eppure, il peggio sta succedendo a Piazza san Giovanni. Ci arrivano notizie contorte e siamo preoccupatissimi: notizie di un ragazzo che lanciando un petardo avrebbe perso due dita (in realtà si sarebbe trattato di un compagno di Sinistra Ecologia e Libertà che, come dimostrato anche da un video, avrebbe voluto allontanare un petardo, lanciato da un black bloc verso la folla pacifica, ma rimettendoci appunto due dita) e di un altro ragazzo che sarebbe addirittura stato ucciso, investito dal cappottamento di una camionetta dei Carabinieri. In realtà un ragazzo viene investito da un blindato dei carabinieri in retromarcia, ma senza riportare danni importanti.
Dalle telefonate che riceviamo e da quanto riusciamo a capire dai servizi televisivi che osserviamo con preoccupazione in qualche negozio, la situazione è anche molto più grave di quanto non percepiamo: Piazza San Giovanni è una bolgia di devastazione e scontri, e addirittura anche una camionetta dei Carabinieri viene data alle fiamme. Gli scontri proseguiranno almeno fino alle 7 di sera, ma oramai abbiamo già deciso di fare ritorno.
La missione dei black bloc, invece, è riuscita: due milioni di euro di danni alla città di Roma; auto e cassonetti bruciati; tratti di selciato divelti per trasformare i sampietrini in proiettili; le facciate delle banche, dei negozi e degli alberghi assaltati annerite dal fumo degli incendi. E ciò che fa più rabbia è che hanno voluto approfittare della piazza di protesta aperta dagli indignati per scatenare una violenza insensata e controproducente. Sono riusciti (perché volere o volare ci sono riusciti!) ad oscurare le ragioni della protesta giusta e pacifica; sono riusciti a tappare la bocca ad una piazza, ad una generazione, indignata contro una crisi, e i suoi creatori, che sta smantellando tutti i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici dell’intero pianeta.
Ma se le ragioni indignate di quella piazza sono state oscurate e messe in secondo piano, ciò non toglie che tali ragioni esistano e resistano: e continueranno ad esistere finché la crisi non sarà affronta, risolta, superata e riformato quel sistema socio-economico che non riesce ad evitare che ciclicamente ci si trovi dinanzi ad una crisi. Ecco, anche attraverso i miei studi, posso affermare con certezza che le crisi non sono una novità per gli esperti del campo: le crisi sono ‘previste’. Previste nel senso che è normale che ogni periodo ci si ritrovi dinanzi ad una. Purtroppo pur sapendo che la crisi passerà e tornerà, quegli esperti del campo di cui parlavo prima non riescono a non evitarle, e soprattutto non riescono ad evitare di chiedere puntualmente sacrifici madornali ai cittadini, ai lavoratori, agli studenti, pur di salvare quel gruzzolo di banche e banchieri che paradossalmente sono i reali creatori della crisi.
A margine della guerra civile di Piazza San Giovanni, in conclusione, non posso far altro che continuare a battere sul fatto che bisogna parlare di quest’argomento, bisogna ancora indignarsi di fronte al fatto che al Sud Italia il tasso di disoccupazione giovanile sia pari al 30%, di fronte al fatto che la nostra sia destinata ad essere una generazione precaria, di fronte al fatto che a Montecitorio il governo riesca a reggere soltanto attraverso una vergognosa compravendita di deputati, di fronte al fatto che i governatori europei ci deridano pensando al nostro Governo e al nostro primo ministro, Silvio Berlusconi (vedi le risate di Sarkozy e Angela Merkel a Bruxelles).
C’è bisogno di continuare a discutere di questi temi soprattutto sui territori, e quindi non farsi schiacciare da un mucchietto di violenti rincoglioniti. Proprio il 15 Novembre, un mese dopo i fatti di Roma, potrebbero svilupparsi sui territori una serie di iniziative per continuare a urlare che quest’indignazione generale esiste ancora e non è svanita dopo il 15 Ottobre. Per continuare a urlare che i black bloc non rappresentano per nulla gli indignati di Roma e di tutte le città italiane ed europee. Ciò di cui c’è soprattutto bisogno, però, è la PARTECIPAZIONE. Chiunque si senta indignato, incazzato, sdegnato, ha l’obbligo morale di alzare la testa, urlarlo e contribuire alla creazione di questa iniziativa che potrebbe rivelarsi molto ingegnosa ed efficace: proviamoci, per il 15 Novembre proviamo a costruire un dibattito, una nuova manifestazione di indignazione, insomma…una nuova (e, soprattutto, diversa!) Giornata dell’Indignazione.
Giovanni