mercoledì 3 agosto 2011

Il Sindaco-Imperatore, Allocca Raffaele detto Ferdinando II, il figlio Celeste e l’assessore all’Ambiente, Raffaele Angri, denunciati per tangenti e minacce. Le novità imbarazzanti nella Somma Vesuviana che qualcuno ha definito…CORLEON-CITY!

Articoli tratti da ilmediano.it

Raffaele Ferdinando II, a destra,
e il figlio Celeste
Un racconto ricco di dettagli, date, luoghi, episodi. Parole, ogni tanto interrotte dalla rabbia e dalla disperazione. Quello che hanno da dire non è facile: accusano di tangenti e minacce il sindaco di Somma Vesuviana, Raffaele Allocca, il figlio Celeste e l’assessore all’Ambiente Raffaele Angri. A farlo gli imprenditori edili, Vincenzo ed Ernesto Sodano, di 37 e 41 anni, rispettivamente amministratore e socio di una ditta edile che più volte dal 2006 al 2009 ha lavorato per il Comune. Lavorato gratuitamente, stando al racconto che i due costruttori hanno fatto ai carabinieri della Stazione di Somma Vesuviana; “avanzano” infatti dalle casse comunali circa 120 mila euro. “Siamo disperati”, racconta Vincenzo, “Abbiamo lavorato, anticipato pagamenti e ora? Ci ritroviamo senza nulla. Stiamo per chiudere la società, dobbiamo trovarci un altro lavoro e alla nostra età non è facile. Questo è il mestiere di nostro padre, tutti conoscono la serietà della nostra famiglia e se ci siamo decisi a parlare non è per una questione di soldi, ma di onore. E’ vero ci siamo dovuti vendere le auto che avevamo, le ultime bollette non saremmo riusciti a pagarle se non fosse stato per l’aiuto di papà ed è arrivato il momento di raccontare la verità”. Quella verità che viene snocciolata con dati e fatti dal fratello maggiore Ernesto, che con il sindaco Allocca si era anche candidato nel 2008, nelle fila del PdL. “Mi chiese di presentarmi alle elezioni, l’ho fatto”, spiega, “ma già in campagna elettorale sono cominciati i primi problemi. Il sindaco mi ordinò di fare lavori in via Cerciello, via Monte, altre cortine private, era un modo per raccogliere i voti, spendemmo circa 20mila euro. Il sindaco mi diceva, «stai vicino a me e poi per il futuro me lo vedo io», così credevo che quelle opere fossero investimenti per il futuro. Da allora abbiamo incassato due trance di denaro, circa 18 mila euro, soldi che però il Comune ci doveva dal 2006”. Sui lavori dal 2008 in poi la richiesta di tangenti, fatta ai due costruttori dal figlio del sindaco. “Nel settembre del 2008 incontrai Celeste Allocca e Angri in piazza, e Celeste mi disse che la “matta” in mano adesso la teneva lui, se volevo continuare a fare la manutenzione per il Comune dovevo dare il 10% di ogni lavoro all’assessore. Alcuni conoscenti mi raccontarono che entrambi avevano detto che se noi non stavamo al nostro posto ci avrebbero mandato i «cani addosso». Una frase che mi preoccupò tanto che decisi di pagare”. E per il pagamento di questa prima presunta tangente i Sodano chiamano in causa anche l’architetto Filomena Iovine, dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale. “A dicembre del 2008”, aggiungono i costruttori, “dovevo incassare 25mila euro e chiesi spiegazioni ai due, con noi si fermò la Iovine e a lei l’assessore chiese se le carte erano a posto. Lei mi disse di non preoccuparmi che a gennaio del 2009 avremmo avuto i soldi. Fu allora che il figlio del sindaco mi chiese di anticipare il 10% delle fatture ed io consegnai qualche giorno dopo all’assessore Angri, nei pressi della sua abitazione in via Caprabianca, 2500 euro”. Gli imprenditori continuarono a lavorare poi nel 2009 ebbero un subappalto dalla Mazzitelli SPA che si occupava della realizzazione delle rete del metano in città per rifare i marciapiedi a via Aldo Moro. In quel caso nuova richiesta di tangenti. “Celeste Allocca mi chiese nuovamente il 10%”, aggiunge Ernesto, “ma non potevo: i prezzi erano stretti. Angri allora disse che potevano prendersi di meno”. Sodano non pagò quella “rata” e da allora ha smesso di lavorare per il Comune. Eppure fino a quel momento la sua ditta era quella che rattoppava il manto stradale, ripuliva la casa di cura degli anziani (di cui i sanitari sono ancora in un deposito dei costruttori), rifaceva marciapiedi. Poi più nulla. Il peggio arriva però a maggio di quest’anno. “Mio padre aveva deciso di rivolgersi ad un avvocato”, racconta Vincenzo, “per far partire una causa civile. L’avvocato parlò con Allocca per cercare una soluzione bonaria della cosa, così non è stato”. Lo interrompe Ernesto: “Ero con il consigliere Mariano Allocca e Alfonso De Falco, zio di un altro consigliere, davanti al Comune quando il sindaco ci intimò di seguirlo nella sede del PdL, una volta dentro disse «Aprite bene le orecchie, vi faccio male» e a me «denuncia il Comune, ma lascia stare la mia famiglia che ti faccio male»”. Il gesto estremo che ha convinto i Sodano a rivolgersi i carabinieri.
“La notizia di questa denuncia la apprendo adesso, cado dalle nuvole”. Commenta così l’assessore Raffaele Angri un suo coinvolgimento nella vicenda denunciata dei due imprenditori edili, e non da meno Celeste Allocca, figlio del sindaco Raffaele che al momento non è possibile contattare per un’eventuale replica, è in convalescenza per motivi di salute. “Sono all’oscuro di tutto”, afferma invece Allocca, e se il giovane medico si ferma a questa frase secca, Angri spiega: “Sono assolutamente estraneo a questa vicenda, mi riservo, d’accordo con i miei legali, di denunciare chi ha fatto certe dichiarazioni nei miei confronti. Mi sento tranquillo e sereno, attendo gli atti ufficiali e non ho null’altro da aggiungere”. Difficile credere però che della questione Angri e Allocca junior non fossero al corrente, la voce dell’esposto ha fatto in poco tempo il giro della città diventando argomento di discussione soprattutto nei “salotti” della politica locale. Nell’ultima seduta del consiglio comunale, un riferimento alle “chiacchiere di paese” lo aveva fatto anche l’ex sindaco di Somma Vesuviana e oggi consigliere del PD, Alfonso Auriemma, un riferimento alla gestione amministrativa che molti hanno letto come l’episodio di “corruzione” di cui tanto si parlava. Riguardo proprio alle chiacchiere, l’assessore con delega all’Ambiente ha poi aggiunto: “Se uno dovesse porsi il problema per tutto quello che sente in giro, se stessimo appresso ai pettegolezzi allora noi non lavoreremmo più”. In ultimo una battuta sulla vicenda l’abbiamo chiesta anche all’architetto Filomena Iovine, all’epoca dei fatti massimo dirigente dell’ufficio Tecnico e dei Lavori pubblici, la risposta: “La magistratura faccia il suo corso”. La farà. L’esposto degli imprenditori è già in procura al tribunale di Nola al vaglio degli inquirenti.

Assad, il dittatore della Siria, è più buono di Gheddafi, il dittatore della Libia? Analisi sulle differenze libico-siriane: capire perché la Libia è stata bombardata dall’ONU, mentre la Siria (o l’Iran) no.

La repressione del regime in Siria non conosce soste: le sanguinose giornate di violenza, da domenica hanno provocato oltre 150 morti, di cui almeno 24 sono stati uccisi ieri dalle forze fedeli a Damasco, dopo la preghiera della sera in occasione del primo giorno di Ramadan. L’esercito di Bashar al Assad bersaglia i civili con i carri armati, che avanzano da quattro direzioni sparando con i cannoni e con le mitragliatrici.
Sono ormai più di mille dall’inizio delle manifestazioni due mesi fa.
Testimoni riferiscono che le granate sparate dai tank dell’esercito piovono su e attorno alla città a un ritmo di almeno quattro al minuto. Acqua ed elettricità verso i principali quartieri di Hama sono stati tagliati: una tattica, questa, abitualmente usata dai militari nelle operazioni di repressione.
Hama, 210 chilometri a nord di Damasco, è uno dei centri più attivi con fino a 55mila persone scese in piazza, ed è tra l’altro una città simbolo della lotta contro il regime in Siria: nel 1982, la durissima repressione di una rivolta ispirata dal movimento dei Fratelli Musulmani contro l’allora presidente Hafez al-Assad, padre di Bashar, provocò la morte di 20mila persone.
Le ultime notizie dell’orrenda repressione arrivano all’indomani della riunione d’urgenza convocata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a New York e conclusa senza concreti risultati. La comunità internazionale, infatti, non ha ancora deciso le misure da adottare per fermare il massacro.
Nel corso delle discussioni al Palazzo di Vetro, a porte chiuse, un alto responsabile dell’Onu ha detto che in Siria si contano anche 3.000 persone scomparse nel nulla e circa 12.000 persone incarcerate. Resta forte il pressing di Gran Bretagna, Francia, Germania, Portogallo e Stati Uniti per l’adozione di una risoluzione di condanna. Alcuni diplomatici, tuttavia, hanno indicato come molto più probabile un’intesa al consiglio di Sicurezza su una semplice dichiarazione, non costrittiva. Anche perché un progetto di risoluzione trova l’opposizione di Mosca e Pechino, due dei cinque membri permanenti del consiglio, che hanno già minacciato di opporre il loro veto, sostenute da Brasile, India e Sudafrica.
Siria, due giorni fa
Intanto scattano oggi le nuove sanzioni dell’Unione Europea contro la Siria.
Strana è però una cosa. Dopo tre giorni di bombardamenti aerei da parte dell’esercito libico di Muammar Gheddafi, la Francia sembrava eccitatissima all’idea di bombardare il territorio della Libia.
Il 16 marzo la Francia dichiarò, tramite il suo Ministro degli Esteri, Alain Juppe: «La Francia è pronta, insieme ad altri paesi, a mettere in atto la risoluzione dell’ONU, anche riguardo a raid aerei. Se teniamo presente la situazione sul campo, va da sé che le decisioni delle Nazioni Unite deve essere applicate subito».
Il 19 marzo, l’intervento militare su mandato ONU, «per tutelare la popolazione civile libica», guidato da Francia, Italia, regno Unito e Canada, ha inizio.
In Siria (o in Iran) invece no. Il Presidente Assad fa bombardare i civili a colpi di carri armati, e nessun Paese, europeo o nord-americano, pronuncia parole di minaccia o riconducibili ad una nascosta intenzione di voler intervenire militarmente.
Perché Tripoli sì, e Damasco o Teheran no? Perché l’Occidente ha deciso di proteggere la popolazione libica dalle rappresaglie del rais e non ha voluto fare altrettanto per le masse siriane e iraniane, ripetutamente represse e trucidate? Eppure il regime di Assad sta massacrando uomini, donne e bambini con i cannoni dei carri armati! Gli arresti di massa, casa per casa, non si contano più, e le autorità dell’esercito siriano ha messo a punto anche la “tattica” del sequestro dei bambini, per costringere i genitori a rivelare nomi di manifestanti. Metodi suggeriti dagli alleati iraniani. E anche il regime di Teheran è indubbiamente molto più pericoloso di quello di Tripoli: sono numerosissime le prove che c’è la mano del governo di Teheran dietro i maggiori gruppi terroristici in Medio Oriente, e che in Iraq ed Afghanistan il regime di Ahmadinejad fornisce le armi che fanno stragi di civili e di militari della coalizione. Per non parlare poi delle gravissime, continue ed esplicite minacce del leader iraniano all’esistenza fisica dello stato d’Israele!
Invece niente, esistono due pesi e due misure. Perché?
Se è giusto intervenire in Libia per fermare la sanguinaria repressione del regime, a maggior ragione dovrebbe essere logico intervenire in Siria ed Iran, o quantomeno fornire aiuto politico, economico, tecnologico ai tanti cittadini coraggiosi che sfidano il regime manifestando per le strade.
Mahmoud Ahmadinejad
La Siria e l’Iran sono intoccabili? Il regime di Teheran sembra ormai molto impegnato con Assad, non solo con una massiccia fornitura di armi, ma anche con la presenza di militari, pasdaran e uomini dei servizi segreti, utilizzati direttamente nella repressione. Che la Siria sia un alleato prezioso per il regime islamico iraniano è noto. Non a caso Ahmadinejad ha definito le attuali manifestazioni «un complotto dell’Occidente». C’è poi da ricordare che a Damasco si trovano le centrali operative di una serie di organizzazioni militari e terroristiche (Hamas, Hezbollah, ecc.) e in questa città hanno sede le basi dei pasdaran iraniani per gli attentati terroristici all’estero.
La Siria confina con l’Iraq, il Libano e Israele, che, nel caso di un intervento occidentale, vi verrebbe direttamente coinvolto.
Un intervento militare significherebbe sconvolgere i delicati equilibri del Medio Oriente e del Golfo Persico, e scatenare una sanguinosa guerra regionale. Sarebbe una tragedia ancora più grave di quella in corso. E’ più che nota la frizione tra l’Iran di Ahmadinejad e l’Israele di Netanyahu, con il primo che ha sempre espressamente minacciato l’esistenza dello Stato d’Israele. Frasi come «...il regime criminale (Israele, ndr) che sta sfruttando la ricchezza dell’oppressa nazione palestinese e sta uccidendo innocenti da 60 anni, ha raggiunto la sua fine e sparirà dalla scena politica...» oppure «...questo regime occupante Gerusalemme è destinato a scomparire dalla pagina del tempo...» sono all’ordine del giorno nella dialettica del leader iraniano.
Mettersi quindi contro la Siria vuole dire mettersi contro l’Iran, che dovrebbe essere molto vicino alla realizzazione dell’arma nucleare.
Gheddafi, nel 2004, scelse di rinunciare unilateralmente al proprio programma atomico, spegnendo le centrifughe di cui disponeva, e lo decise perché pensava di essere meno sicuro con la bomba, anziché senza, aiutato in questa valutazione anche da quanto stava avvenendo in Iraq, temendo di essere il prossimo ad essere bombardato.
Ma ciò che sta avvenendo in Libia dimostra al contrario che si è più al sicuro con la bomba che senza: è questo l’insegnamento che sta traendo l’Iran dalla situazione internazionale. Nessuno infatti può realmente pensare che l’Occidente sarebbe intervenuto in Libia se il rais fosse stato in possesso del deterrente nucleare, e sicuramente non lo pensano gli ayatollah iraniani.
Infine, ma non meno importante, il solito dio Denaro: la solita difesa degli interessi economici, energetici e strategici. Petrolio e gas. Che in Libia (ma non in Siria!) la fanno da padrone.

Juan

Processo lungo o processo breve? E’ lo stesso: c’è ‘qualcuno’ che di processi non vuole proprio sentir parlare. E l’obiettivo è sempre quello: nascondere quel ‘qualcuno’ all’occhio vigile della giustizia…

Il Senato ha approvato, qualche giorno fa, con voto di fiducia imposto dal governo, il disegno di legge sul cosiddetto «processo lungo». 160 sì, 139 no.
Le polemiche in aula naturalmente non sono mancate. La capogruppo del PD, Anna Finocchiaro, ha parlato di legge ad personam per Silvio Berlusconi e di «piede del padrone sul collo dei senatori del PdL che almeno in questa occasione avrebbero potuto dimostrare di essere liberi e forti». Dai banchi dell’Italia dei Valori, poi, sono spuntati dei cartelli con su scritto «Ladri di giustizia». Insomma, il clima è stato molto teso.
Ora però il testo torna alla Camera dove verrà calendarizzato a settembre per poi essere discusso e votato a ottobre, il mese in cui riprendono i processi in cui è imputato Berlusconi.
Per il senatore Francesco Nitto Palma, che ha fatto il suo esordio a Palazzo Madama nel delicatissimo ruolo di Ministro della Giustizia subentrando ad Angelino Alfano, «sul processo lungo si dicono tante inesattezze perché non avrà alcun effetto deflagrante sul sistema». E lancia la sua ‘prima’ accusa ai suoi ex colleghi pubblici ministeri: «I magistrati dicono che queste norme provocheranno una specie di disastro, gli avvocati affermano che non cambierà nulla».
Beh, ma allora perché sostenere la legge addirittura con la fiducia?
La stessa domanda se la pone anche (indirettamente) “Famiglia Cristiana”, che pubblica sull’edizione on line un duro editoriale: «Processo lungo, la mafia ringrazia».
Ma andiamo con calma. A cosa serve realmente questo processo «lungo»?
Ci dicevano che il processo «breve» serviva a snellire i tempi della giustizia e ci avrebbe portato al passo con l’Europa. Poi, quasi a sorpresa, l’Aula del Senato approva il «processo lungo».
Allora, tecnicamente, il «processo lungo» può essere riassunto in 3 punti.
Punto n. 1. La norma sul processo lungo consente di allungare a dismisura la lista dei testi della difesa, anche nei processi di primo grado in corso, con il rischio di portare per le lunghe le udienze, rincorrendo quasi i tempi di prescrizione.
Punto n. 2. Con il nuovo testo di legge, il giudice non avrà più la possibilità di scegliere se escludere le prove “manifestamente superflue o irrilevanti”, come accade ora. Potrà escludere solo quelle “non pertinenti”.
Punto n. 3. Il «processo lungo» dà più peso agli avvocati, che possono imporre i testimoni, ed esclude le sentenze passate in giudicato, allungando così ulteriormente i tempi del processo, perché si devono ricercare le stesse prove.
Consente, quindi, alla difesa di presentare un numero illimitato di testimoni portando inevitabilmente ad un allungamento dei tempi del processo e alla prescrizione. Il giudice non potrà opporsi a ciò, né potrà escludere “prove superflue o non rilevanti”: pena la nullità del processo. Esclude le sentenze passate in giudicato, allungando ulteriormente i tempi del processo, perché si dovranno ricercare le stesse prove.
Se fosse una delle tante norme ordinarie, la maggioranza non avrebbe chiesto il voto di fiducia, ma evidentemente non è così.
Tutto ciò servirà naturalmente al Presidente del Consiglio, Mr B, che tenta di salvarsi soprattutto dal processo sulla corruzione di David Mills e dal processo Ruby. Ma servirà anche ad altri, più o meno famosi.
A Milano la famosa scalata Unipol alla Bnl, ma pure i gravi crac Burani e Cit.
A Torino potrebbero tornare i 9.841 testimoni chiesti dai difensori per i morti dei veleni della Eternit. I giudici ne hanno concessi due a persona, ma adesso tutto potrebbe riaprirsi.
A Viareggio, per quanto riguarda il dibattimento per la strage del treno deragliato in stazione, i pm stimano che i 38 indagati delle Ferrovie dello Stato potrebbero pretendere di sentire decine di testimoni a testa.
A Roma potrebbe andare in crisi il processo Cucchi (il detenuto morto per le percosse ricevute) perché gli avvocati sarebbero legittimati a presentare una lista testi in cui figurano tutti coloro che si trovavano nel penitenziario, in questura e in ospedale in quei drammatici momenti.
A Palermo sarebbe la fine dei processi di mafia. Franco Mineo, per esempio, deputato regionale eletto nel Partito di Mr B, indagato per essere un prestanome dei boss dell’Acquasanta, potrebbe far chiedere dai suoi avvocati una sfilza di testi che comprende l’intero quartiere dove ha vissuto.
A Bari rischierebbero il blocco inchieste ormai in aula o prossime ad esserlo come quelle sul Ministro Raffaele Fitto e sul re della sanità pugliese, Giampaolo Tarantini.

L’intero Paese Italia e tutti i suoi casi giudiziari vanno a puttane. Come, del resto, anche (…i processi di…) Silvio Berlusconi.


Juan

Piazza Affari non si rialza e il governo non agisce. La Spagna va ad elezioni anticipate, noi? Le elezioni potrebbero salvarci (...?)

Roma brucia. Milano crolla. Il Titanic-Italia è squarciato da Nord a Sud dall’iceberg speculativo. La politica affonda. L’ipotetica soluzione alternativa, e via d’uscita dalla crisi, è un camaleonte che si nasconde mimetizzandosi sull’intero mondo partitico circostante.
A fronte di un forte bisogno di cambiamento, ora come mai necessario nella storia d’Italia, non si riesce trovare la strada giusta da imboccare. L’elezione anticipata come in Spagna (che appunto si recherà alle urne il 20 novembre e non a marzo, naturale scadenza della legislatura Zapatero), o il governo tecnico per non scoraggiare i mercati? Il governissimo-Maroni, con l’appoggio di tutti (compreso il PD) o la grande alleanza democratica contro Berlusconi, in stile Comitato di Liberazione Nazionale del ’43?
Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, riapre il dialogo con il centrodestra ma propone un governo senza Silvio Berlusconi e, magari, con Roberto Maroni premier, ipotizzando perfino il sostegno del PD a questo nuovo (ipotetico) esecutivo. «Galleggiare equivale ad allungare l’agonia a spese dell’Italia. Siamo di fronte al baratro. Gli uomini più avveduti della maggioranza abbiano il coraggio di spiegare a Berlusconi che deve fare un passo indietro. Serve un governo con un programma definito: il rilancio dell’economia e una riforma elettorale. La maggioranza che è uscita dalle elezioni ha il diritto di esprimere il presidente del consiglio. Facciano un nome: il Terzo Polo farà la sua parte, e spero che anche il PD non si sottragga alle responsabilità».
La prima risposta è quella del leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, ed è una risposta di chiusura alla proposta di Fini: «Riconosciamo che tutto può andare bene per superare il governo Berlusconi, ma noi non entriamo in un governo balneare o istituzionale. Se altri hanno la forza e i numeri per un’alternativa, ne prendiamo atto e non abbiamo critiche preconcette, ma noi non ci stiamo».
Il Partito Democratico, invece, chiude, attraverso le parole di Enrico Letta, vicesegretario PD, alla proposta di Fini: «Mantenere la situazione attuale è la cosa peggiore per l’Italia. Qualunque governo senza Berlusconi a Palazzo Chigi è senz’altro un’evoluzione positiva, anche in continuità con la maggioranza di centrodestra. Ma rispetto a ciò che Fini lascia intendere è bene chiarire che il PD non appoggerà in alcun modo nessun governo guidato da ministri dell’attuale esecutivo Berlusconi, principale responsabile dei guai in cui si trova l’Italia. Per noi la strada maestra restano le elezioni anticipate».
Trova però un’altra soluzione il Partito Democratico: Dario Franceschini, infatti, durante un dibattito al seminario di Area Democratica (in cui era presente anche Nichi Vendola e Benedetto della Vedova, mandato da Fini a rappresentare FLI), torna a proporre l’ipotesi della grande alleanza di tutte le opposizioni, da Sinistra Ecologia e Libertà, di Vendola, fino a Futuro e Libertà, di Fini: «C’è il rischio che il centrodestra, con o senza Berlusconi, possa vincere le elezioni, avere una maggioranza in Parlamento di eletti con liste bloccate il cui primo atto sarà eleggere il Presidente della Repubblica. Mi pare che questo rischio da solo già giustifichi l’esigenza di un’alleanza larga tra forze che hanno storie diverse e anche idee per il futuro diverse, ma unite da un’idea di ricostruzione democratica del nostro Paese. Potremmo anche vincere con un’alleanza PD-SEL-IdV, come è probabile, ma possiamo immaginare di gestire un’operazione titanica com’è quella di far fronte a una crisi economica, a un crescente disagio sociale, alla necessità di ricostruire le regole, il rispetto per lo Stato, l’unità nazionale, senza una maggioranza che abbia un larghissimo consenso nel Paese? Avremo bisogno di industriali e operai, giovani e anziani, cittadini del nord e del sud per gestire una legislatura di transizione e riconsegnare il Paese ricostruito a una normale dialettica».
Proposta di larghissima alleanza, però, immediatamente bocciata da Nichi Vendola: «Il mio dissenso è totale. Una unità più larga sulle regole del gioco è naturale e ovvia perchè le regole non possono essere proprietà di una parte, anzi, chi ragiona ad un nuovo sistema elettorale pensando alle proprie convenienze sbaglia; ma se di fronte alla crisi del berlusconismo noi non diciamo che c’è un’alternativa chiara di politica economica e sociale rischiamo di rendere torbido il quadro. Io rispetto Della Vedova ma il suo progetto è alternativo al mio e non so come possiamo camminare insieme, se la politica si presenta come un pasticcio gattopardesco rischia grosso. Di fronte al dolore drammatico della crisi sociale, che può portare a movimenti di piazza anche in Italia, la politica non se la cava chiudendosi nel fortino e invocando la responsabilità nazionale. Per me la responsabilità nazionale oggi è colpire la rendita, la ricchezza e la speculazione». E aggiunge (in un’intervista a l’Unità qualche giorno fa) anche parole sulla crisi, le alleanze e la legge elettorale: «L’Italia popolare e proletaria è allo stremo, non si era mai vista una stagione di così pesante regresso sociale. In Italia ci sono 150 miliardi di evasione fiscale, se c’è bisogno di pesanti manovre devono essere messe per intero sulle spalle della ricchezza, della rendita, dell’evasione. Purtroppo la rabbia sociale si riversa solo sui privilegi della “casta”, invece che su questa ingiustizia di tipo ottocentesco. Per questo è stato un grave errore del PD quel voto contro l’abolizione delle province (http://giovannimaiello.blogspot.com/2011/07/il-popolo-dei-deputati-di-mr-b-vota.html). E in un’Europa che ha perso ambizioni, l’antipolitica insieme alla crisi sociale può portare davvero a scorciatoie reazionarie. Se a pagare il conto sono sempre i soliti predestinati, se non c’è una netta alternativa tra le politiche economiche di destra e di sinistra, e allora crescono gli “indignatos” … Adesso l’unico modo per voltare pagina è  licenziare il governo Berlusconi-Bisignani-Milanese e andare al voto. Il centrosinistra è uno straordinario potenziale, ora servono segnali chiari: una grande manifestazione in autunno per dire che siamo in campo, una coalizione con un’anima, che vogliamo coinvolgere da protagonisti i movimenti, dalle donne ai precari».
E a chi gli chiede se in questa colazione ci sia anche l’UdC risponde: «Serve un chiarimento. A Casini voglio dire che di troppa furbizia si muore: l’equidistanza tra centrosinistra e Berlusconi non è più sostenibile, e neppure l’altalena tra i due poli, senza avere il coraggio di uno sforzo anche autocritico su un ciclo lungo che ha devastato la società italiana. Considero un guaio che Casini non si accorga di quanto rilevante sia stata tra i cattolici la partita sull’acqua pubblica, quasi un gesto di liberazione dall’individualismo. E ancora, considero una vergogna vivere in un Paese senza una legge sulle coppie di fatto, non sono disponibile a una rimozione di questi temi».
E per quanto riguarda la legge elettorale: «Credo che, per garantire rappresentanza e coalizioni, la soluzione migliore nell’immediato sia una legge per tornare al Mattarellum, come proposto da Gustavo Zagrebelsky».
Beh, quello che credo io è che le elezioni sono fatte per capire chi deve governare e decidere quindi l’intera vita del Paese. Un’alleanza trasversale, che vada da ambienti di destra che si ispirano alla figura di Almirante, fino ad una sinistra che si rispecchia nella figura di Berlinguer, secondo me, sarebbe incapace di governare il Paese, di legiferare e di prendere le più importanti decisioni d’ambito economico, fondamentali in questo periodo.
Ad oggi sono più che favorevole ad una ‘stretta’ alleanza tra PD, Italia dei Valori e Sinistra Ecologia e Libertà, alla quale vada ad aggiungersi, poi, un intenso rapporto di collaborazione, in ambito parlamentare, con l’opposizione del Terzo Polo. Sempre quando il Terzo Polo si deciderà ad abbandonare la strada dell’altalena tra l’una e l’altra sponda, e comincerà ad opporsi definitivamente a Mr B.
Non so però, sinceramente, quanto possa essere favorevole la strada dell’elezione anticipata, e in particolar modo l’effetto che potrebbe avere sui mercati. Forse aspettare cosa accadrà in Spagna potrebbe essere un’ipotetica soluzione; e, se l’impatto che le elezioni spagnole provocherà sui mercati sarà non eccessivamente negativo, votare quanto prima e mandare a casa, con una netta maggioranza, un governo nullafacente.
In caso contrario, se l’effetto elezioni spagnole sarà eccessivamente pesante sui mercati, affrontare a muso duro elezioni anche qui in Italia non sarà semplice. Purtroppo però, l’immobilismo del governo di Mr B e l’incapacità di gestione della negativa congiuntura internazionale, necessita inevitabilmente di un cambiamento politico forte e deciso che necessariamente deve avvenire con l’elezione, e assolutamente non con un governo tecnico.
Sarebbe una scommessa andare a votare in autunno come gli spagnoli, ma restarsene fermi e con le mani in mano, come sta facendo il premier e la sua maggioranza parlamentare, non ci farà di certo uscire dal baratro in cui stiamo affossando. E facendo questa scommessa, esiste comunque un 50% di possibilità di riuscire a vincere, che è sempre meglio di fare quel che stiamo facendo adesso: aspettare che le cose si aggiustino da sole, sperando che i mercati ritrovino fiducia in un Paese privo di strategie e di piani per il futuro.

Juan

La coerenza della politica: tutto il Parlamento, con l’esclusione di Di Pietro, vota per il rifinanziamento delle missioni italiane all’estero.

Dopo il via libera già ottenuto al Senato, la Camera ha approvato definitivamente il decreto legge per il rifinanziamento delle missioni italiane all’estero. La votazione ha registrato l’ampissima maggioranza di 493 favorevoli. 22 sono stati, invece, i contrari e 15 astenuti.
A votare a favore sono stati il Partito di Mr B, Lega, Popolo e territorio (gli ex Responsabili), UdC e PD. La componente Radicale si è astenuta. Ha votato contro solamente l’Italia dei Valori, malgrado le urla ai quattro venti dei massimi esponenti della Lega, come Bossi o Calderoli, sull’immediato ritiro dalle missioni di guerra.
Tutti gli emendamenti presentati dalle opposizioni sono stati respinti.
Il testo approvato stabilisce comunque un taglio all’impegno economico italiano rispetto al semestre precedente. In particolare entro il 30 novembre saranno schierati all'estero duemila soldati in meno (dagli attuali 9.200) per un risparmio di spesa complessiva di circa 120 milioni di euro. A essere colpite saranno tutte le missioni. La riduzione più forte del contingente italiano riguarda la Libia: saranno impiegati 884 soldati in meno e resteranno quindi operativi in 1.086, a fronte dei 1.970 impiegati in questi primi tre mesi di operazioni. Il testo contiene anche nuove norme antipirateria che consentiranno alle navi battenti bandiera italiana, che attraversano spazi marittimi internazionali a rischio, di potersi dotare, a loro carico, di contingenti della marina militare o di guardie giurate.
Di fronte a buona parte delle forze politiche che si dichiarano favorevoli alla exit strategy (tipo Partito Democratico e Lega Nord, ma anche SEL di Nichi Vendola o la Federazione della Sinistra che sono però fuori dal Parlamento), solamente l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro ha avuto il coraggio di votare contro il rifinanziamento delle missioni italiane all’estero.
Facciamo i conti su questo…

Juan

Italia: l’unico Paese che dà soldi per le missioni (di guerra) internazionali, ma che non dà un euro per proseguire la ricerca sull’AIDS.

Ospitare la conferenza in Italia è una bella occasione per la nostra ricerca, ma è anche un modo per mettere in luce i paradossi che governano il paese. Solo qualche giorno fa, la rivista Science sottolineava come «nonostante i ricercatori italiani siano da tempo considerati tra i migliori a livello mondiale nella lotta all’Aids, il Governo non ha intenzione di proseguire il Programma Nazionale di Ricerca sull’Aids».
E Medici senza Frontiere ha chiesto al governo italiano di «rispettare gli impegni presi nella lotta all’Aids»: il nostro paese infatti è l’unico tra quelli del G8 a non aver versato i contributi per il 2009 e il 2010 al Global Fund to Fight AIDS, Tuberculosis and Malaria.
Né c’è un impegno per il triennio successivo. La parte scientifica della conferenza ha preso il via ieri, tra le contestazioni degli attivisti: «Berlusconi bugiardo, dai i soldi al Global Found», diceva lo striscione nella sala dell’Auditorium.
L’attenzione dei ricercatori si concentrerà soprattutto su due nuove strategie. La prima riguarda la possibilità di usare le terapie antiretrovirali non solo per tenere a bada l’infezione da Hiv, ma per evitare che una persona infettata possa trasmettere il virus. È quello che si chiama «trattamento come prevenzione». Negli ultimi due anni, due studi pilota condotti su coppie eterosessuali nelle quali uno dei partner era infetto, hanno mostrato che se il sieropositivo prende le terapie antiretrovirali ha il 90 % di probabilità in meno di trasmettere il virus al partner. L’uso dei farmaci come arma di prevenzione viene caldeggiato anche in un editoriale pubblicato sulla rivista medica inglese The Lancet e firmato da Julio Montaner, ex presidente della Ias.
La seconda strategia è più azzardata: si tratta di utilizzare i farmaci antiretrovirali sulle persone sane per evitare che si contagino. Si chiama profilassi pre-esposizione (PrEP) e due nuovi studi condotti in Africa, e che verranno presentati durante il convegno, dimostrerebbero la sua validità.
A spingere per la PrEP c’è il fatto che si è dimostrato molto difficile diffondere l’uso del preservativo presso alcune popolazioni, mentre un vaccino efficace non sarà pronto prima di 10 o, più realisticamente, 20. Insomma c’è un serio problema di prevenzione, tanto che nel 2008 ancora si contavano 2,7 milioni di nuove infezioni nel mondo.
Purtroppo però queste terapie non sono esenti da effetti collaterali. Il più recente è un invecchiamento precoce. Lo studio pubblicato su Nature Genetics mostra che una classe di farmaci spesso utilizzati per curare l’infezione da Hiv in Africa e in altre regioni povere danneggerebbe il Dna nei mitocondri, causando un invecchiamento precoce e facendo aumentare il rischio di sviluppare malattie legate all’età, tra cui cardiopatie e demenza.

(da unita.it)

Juan