Quando voi siete soli, in realtà non
siete soli: vi sentite soli, ed esiste una differenza fondamentale tra l’essere
soli e il sentirsi soli.
Sentirsi soli è l’assenza dell’altro.
Essere soli è la presenza di se stessi.
Sentirsi soli è uno stato negativo. Sentite
che sarebbe meglio se ci fosse l’altro: l’amico, la moglie, la madre, l’amato,
il marito. Sarebbe meglio se ci fosse l’altro, ma l’altro non c’è.
Essere soli è estremamente positivo. E’
una presenza, una presenza traboccante. Sei così colmo di presenza che puoi
riempire l’intero universo con la tua, e non hai bisogno di nessuno.
Ciò non significa che una persona del
“secondo tipo” non viva con gli altri. In realtà, solo lui è in grado di vivere
con gli altri, perché con la capacità di stare con se stesso ha acquisito la capacità
di stare con gli altri. Se non sei in grado di stare con te stesso, come puoi
stare con gli altri?
A tal proposito, si può sfruttare la
meditazione: stare semplicemente seduti da soli, senza fare nulla. Se
incomincerai a sentirti solo, vuol dire che manca qualcosa nel tuo essere, vuol
dire che ancora non sei riuscito a comprendere chi sei. E correndo di qua e di
là, inseguendo sempre un futuro, andando da una persona all’altra, non arriverai
mai a comprendere te stesso!
Va’ invece in profondità in questo stato
di solitudine, fino a raggiungere uno stato in cui all’improvviso il sentirti
solo si trasforma in essere solo con te stesso. Si trasforma: l’isolamento è
l’aspetto negativo della solitudine. Se andrai in profondità in questo stato,
all’improvviso arriverà il momento in cui inizierai a percepire l’aspetto
positivo, è inevitabile. Sei diventato troppo abitudinario: l’idea dell’altro è
così radicata, è un’abitudine meccanica tale che, quando ti manca l’altro, ti
senti vuoto, solo e cadi in un abisso. Ma se ti permetti di cadere dentro
quell’abisso, ben presto ti renderai conto che l’abisso è scomparso e con esso
sono scomparsi anche tutti gli attaccamenti illusori. A quel punto accade il
miracolo più grande: sei felice senza alcun motivo.
Quando
la tua felicità dipende dagli altri, anche la tua infelicità dipenderà dagli
altri.
Cadere
in un abisso, il più delle volte è associabile al sentirsi circondato da un
uragano, da un vortice, al cui centro ci si sente immobili. L’uragano non ci
permette di guardare oltre, né ci permette di trovare contatto col mondo
circostante. Questo perché tanto è impetuoso quel tornado di negatività che
immaginiamo di poter spazzare via tutto e di fare del male, avvicinandoci, a
chiunque ci sia intorno.
Sentirsi
soli ed essere soli io l’ho immaginato così.
Una
mela. Una mela rossa su un albero di mele rosse.
La
mela che è sola è una mela che
sorride. Pende sul suo ramo, robusto e verde, e guarda il mondo come qualcosa
di fantastico. Apprezza i suoi colori, i suoi rumori, la vita che c’è intorno.
La felicità la si vede nella sua perfezione nella forma, nel suo colore lucido,
nel suo sapore gustoso.
Anche
se di fatto la mela non può specchiarsi, non può vedere il suo colore, né sentire
il suo sapore, lei si sente così. E’ più isolata sull’albero, non ha modo di
chiacchierare con le altre mele, ma non se ne cura. Sta bene così, con se
stessa. Anche da sola.
La
mela che si sente sola è diversa. Per
prima cosa non sorride. Si sente una mela marcia, anche quando di fatti non lo
è. Il ramo dal quale pende le sembra fragile, troppo fragile per mantenere il
suo peso e sente che è prossimo a spezzarsi. Il mondo che vede è in bianco e
nero, sfocato, triste. Non apprezza il mondo, né la soddisfa la vita.
Il
contatto con le altre mele è pressoché inesistente. Non perché la distanza
limiti il rapporto, bensì perché la sua condizione di disagio non le permette
un contatto diretto. E’ troppo occupata a riflettere sul suo essere marcia, è
troppo occupata a pensare ai guai di quel maledetto ramo rinsecchito che
potrebbe catapultarla all’altro mondo.
E
rimane sola. Sola e isolata dal mondo, aspettando o che uno squarcio di Sole
irrompa nella sua solitudine e colori i suoi paesaggi o che qualche altra mela
le faccia capire quanto sia colorato il mondo, quanto siano dolci le melodie,
quanto sia robusto e verde l’albero su cui vive.
Giovanni
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